Sant’Antonio Abate: l’antica tradizione dell’Abruzzo rurale

Si rinnova ancora a Collelongo la tradizionale festa in onore di Sant’Antonio Abate.

La particolare dimensione delle antiche case (le cottora),  in cui gli abitanti del caratteristico paese ricevono parenti, amici e forestieri (che troveranno, oltre a una superba cordialità, un’ospitalità a base di un buon bicchiere di vino, panini, dolci della tradizione locale), dei grandi caldai in rame (cottore) dove, lentamente, cuociono i chicchi di granturco (cicerocchi) che saranno distribuiti a notte fonda, delle conche in rame finemente addobbate che sfilano per il paese portate sul capo da giovani ragazze in costume tradizionale (rescagnate), delle enormi torce in cui ardono grossi tronchi di quercia (torcioni), che riscaldato i cuori di coloro che vengono a vedere questa bellissima festa.

E il paese di Collelongo, ancora una volta (dal 1689!), torna a VIVERE in modo corale e coinvolgente una delle poche vere tradizioni dell’Abruzzo interno sopravvissute indenni alle mode imperanti.

Ma chi era Sant’Antonio Abate?

Sant’Antonio Abate ebbe i natali in Egitto sulle rive del fiume Nilo.

Rimasto orfano in giovane età, sentito il prepotente richiamo evangelico, si liberò dei suoi averi e si dette a una vita di errabonda penitenza, sino a scegliere la via del deserto della Tebaide ove visse da asceta.

Vi restò oltre 80 anni, vivendo in odore di santità, sino alla morte avvenuta nel 356.

Durante il regno dell’Imperatore Giustiniano il suo corpo venne ritrovato e traslato ad Alessandria dove fu sepolto nella chiesa del Santo Giovanni Battista.

La festa del Santo si celebrava a Gerusalemme già nel V secolo, secondo la tradizione che indica la data della sua “nascita celeste” al 17 gennaio.

L’iconografia lo rappresenta con una lunga barba bianca (da eremita appunto), il porcellino al seguito e la campanella che ne annuncia il passaggio.

Indicato col nome di Deicolo (innamorato di Dio) fu l’Abate (il padre degli eremiti) definito da Sant’Atanasio, che ne descrisse la vita e le gesta miracolose, come il “fondatore dell’ascetismo”.

 

E perché questo forte legame delle genti dei paesi dell’Abruzzo interno, ma non solo, col Santo ancoreta del deserto? Perché la vita del Santo è come la vita del contadino: dura e senza alcuna concessione.

E ciò ha permesso la diffusione del suo culto tra le classi rurali secondo diverse modalità ed espressioni che comunque pongono al centro della festa il principale elemento di produzione e sussistenza del contadino: il cibo.

di Alberto Liberati