SPERONE: TRA MITO E LEGGENDA, LA STORIA DI UN BORGO FANTASMA

Sperone Vecchio, sorge in una località denominata “valico delle forchette” a quota 1224 m. sul Monte Serrone, alle porte del Parco Nazionale d’Abruzzo, lazio e Molise, compreso nel territorio comunale di Gioia dei Marsi (Aq).

Il nome del borgo discende dall’unione di due castelli chiamati Sparnasio (dal dio Pan protettore dei pastori e delle greggi) e Asinio. Dopo la distruzione di entrambi i castelli, ne risorse uno solo (Sparnasio) che fu chiamato “Speron d’Asino”.

Il suo territorio montano è attraversato dalla terminazione meridionale della faglia che il 13 gennaio 1915 generò il terremoto catastrofico dell’XI grado della scala Mercalli che sconvolse il territorio della Marsica causando oltre 30 000 vittime.

Sperone Vecchio fu completamente distrutto dal sisma, è fu ricostruito delocalizzando il nuovo borgo più a valle non distante dal paese originario.  Nel XX secolo le mutate condizioni socio-economiche spinsero gli abitanti a trasferirsi definitivamente tra il 1963 e il 1971 a Borgo Sperone, località contigua al paese fucense di Gioia dei Marsi, sede dell’omonimo comune.

Balcone naturale della Marsica, sentinella silenziosa e strategica sin dall’epoca della prima fortificazione romana, della cittadina di Sperone non restano oggi che mura, tetti e stanze senza arredi in attesa di nuovi segni del tempo, testimoni muti di una storia che in pochi ricorderanno.

Abbandonata definitivamente dopo gli anni settanta per via dell’impervio isolamento che nei secoli era stato la sua fortuna, subì la sorte di chi non riesce a correre al passo coi tempi, spegnendosi lentamente negli anni.

Oggi la torre di un castello ormai scomparso domina l’impianto urbanistico di Gioia dei Marsi, dall’alto del Passo Sparnasio. Da lontano è la prima, tra le case che restano, ad indicare il vecchio borgo: guarda la valle da otto secoli, ma da meno di uno non ha più generazioni che la ricordino come simbolo della propria città.

Fu difficile per chi vi abitava abbandonare Sperone ed ogni pretesto fu lecito per rallentare quell’emorragia di giovani che parve irrefrenabile dal dopoguerra in poi. I cittadini lottarono perché si migliorasse la viabilità, si garantissero servizi primari e si dicesse costantemente messa in paese fino all’ultimo. Persino quando tutto sembrò ormai irreversibile, cercarono di tornare al Borgo quanto più spesso possibile per attività rituali legate alla terra o al culto.

Questa lotta contro il tempo durò oltre cinquant’anni e si concluse con l’ultimo amaro trasloco, quello delle salme di chi vi riposava da tempo, al cimitero, quando tutti i defunti vennero portati via per essere ricollocati anch’essi a valle, insieme ai vivi. Per chi torna oggi resta solo un campo di margherite al centro di un mazzo di case vuote: vogliamo credere che sia lo stesso dove, come narra la leggenda, trovarono pace i nemici del sanguinario signore che ebbe potere di vita e morte in questi luoghi, quando Sperone prosperava ed era la prima tra le vedette della marsica orientale.

Una leggenda narra che, il vecchio Duca, proprietario dello stesso borgo, custodisse un serpente bianco portato direttamente dall’oriente durante una crociata di cui si serviva per uccidere i giovani fidanzati delle spose di cui voleva approfittare; in questo modo faceva credere che i giovani fossero stati morsicati da vipere e si concedeva un lusso ben più lungo dello Ius primae noctis. Le vittime erano poi seppellite in un campo di margheritoni, sotto sua stessa volontà. Altra particolarità, ma non così inusuale per l’epoca purtroppo, fu il ritrovamento di una fossa comune colma di ossa e armi, luogo dove probabilmente venivano gettati i suoi nemici.

di Ercole Marchionni


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