
FAGGETA DI VAL CERVARA: SCRIGNO DEL TEMPO E DELLA SAGGEZZA IN TERRA D’ABRUZZO
Se la vita di un uomo non può arrivare ad abbracciare un tempo più lungo di un secolo, la sua terra, al contrario, conosce creature in grado di raccogliere secoli di memoria in una sola esistenza, divenendo custodi di un sapere antico.
È questo che accade quando siamo in luoghi incantati come la foresta di Val Cervara, nel Comune di Villavallelonga, nel territorio del parco nazionale d’Abruzzo, Lazio, Molise, dove sopravvive al tempo la più antica faggeta d’Europa.

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Una leggenda popolare sarda ha come protagonista la quercia.
Tanto tempo fa, quando ancora era cosa comune incontrare per strada il Signore Iddio, un giorno il diavolo mogio mogio si recò da lui. Fattosi coraggio, gli rivolse rispettosamente la parola: “Tu, o Signore, sei il padrone di tutto l’universo, mentre io, povero diavolo, non posseggo nulla in questo mondo…Ti prego pertanto di concedermi la potestà su una minima parte del creato.” E Dio, di rimando: “Cosa desidereresti avere?” E il diavolo: “Il potere su boschi e foreste!”
E Dio decretò: “Così avvenga. Il potere su boschi e foreste ti apparterrà quando questi d’inverno saranno senza fogliame. Tornerà a me, invece, nelle altre stagioni, quando gli alberi saranno coperti di foglie.” Saputa la notizia dell’avvenuto patto, tutti gli alberi del bosco cominciarono a preoccuparsi, finchè l’inquietudine si trasformò in agitazione.
Il carpino, il tiglio, il platano, il faggio, l’olmo, l’acero si chiedevano avviliti: “Cosa possiamo fare? A noi le foglie cadono proprio in autunno”. Finché al faggio venne l’idea di consultare la quercia, l’albero saggio tra i saggi. Quando sentì la storia del patto, la quercia rifletté gravemente ed alla fine sentenziò: “Faremo così, cari amici. Io tenterò di trattenere sui rami le foglie secche, finché a voi non saranno spuntate le nuove!
In tal modo il demonio non potrà avere il dominio su nessuno di noi. Così avvenne e il diavolo beffato. Da allora la savia quercia trattiene il fogliame secco per tutto l’inverno, finché in primavera spuntano le prime foglie verdi.

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Camminando tra le siepi dello splendido labirinto di Sigurtà, a Valeggio, chi mai sospetterebbe una lunga tradizione di fascino e mistero tra le fitte foglie scure del Tasso?
Il Taxus baccata, comunemente detto Tasso, è un sempreverde dell’ordine delle conifere, che deve parte del proprio nome botanico ai frutti rossi, detti arilli, che decorano i rami di strette foglie disposte a pettine come perle appunto (dal latino baccata ovvero fatto di perle). Estremamente raro allo stato spontaneo, deve la propria diffusione ai giorni nostri prevalentemente all’uomo, che se ne serve innanzitutto come pianta ornamentale, disponendone, appunto, i verdi arbusti in siepe o recinzioni.
L’ALBERO DELLE ARMI, ALBERO DELLA MORTE
Nel corso dei secoli, però, non godette della medesima fama, nè bastò l’uso ornamentale a farne albero notevole per varie ragioni. Si dice infatti che, fin dall’antichità, il legno durevole del Tasso venisse impiegato su larga scala per armi di vario genere, grazie anche ad indiscusse doti di resistenza e flessibilità che lo rendevano apprezzabile per la fabbricazione di lance, frecce e, soprattutto archi.
Leggenda vuole che fu una freccia di Tasso quella che colpì a morte Re Riccardo Cuor di Leone, come, al contempo, non sembra affatto casuale che lo stesso nome, in antico, fosse forzatamente ricondotto al greco Tóξov (Toxon), benchè nella stessa lingua l’albero in questione fosse σμĩλαξ (smìlax) o, tutt’al più, μĩλαξ (mìlax). Persino Plinio, però, ricordando l’alta tossicità della pianta, riporta l’accostamento, allargandolo, appunto, all’aggettivo tossico, che sarebbe un derivato del taxicum, spiegando come il veleno stesso dedotto dal Tasso venisse sovente impiegato per rendere letali lame o punte di frecce. Nota riportata anche da Strabone che precisa l’utilizzo degli arilli per questo impiego, benchè sia risaputo che l’unica parte davvero pericolosa del frutto sia il seme al suo interno e non l’innocua polpa. Che Strabone si confonda tra fuori e dentro, però, poco cambia per una pianta che, a ragion del vero, nel tempo s’è guadagnata l’alto appellativo di “Albero della Morte”. Raramente, in effetti, un solo arbusto, in natura, riesce a sviluppare sei differenti molecole tossiche in ogni suo organo, ad eccezione, appunto, della sola area carnossa del frutto, in grado di uccidere, in dosi opportune animali e uomini entrando, così, nel mito della letteratura e della storia di tutti i tempi.
La Guerra dei Cent’anni, come ogni altro focolaio tra il XIII e il XVI sec. in Europa, ad esempio, molto deve al nostro Tasso, se gran parte della popolazione di questa specie, nel vecchio continente, finì disboscata per trarne armi. Eppure non dovremmo arrivare agli shakespeariani Macbeth e Amleto per spiegare una connessione diretta tra l’albero del Tasso e l’aura nera degli inferi. In fondo quando nel Macbeth le streghe inglesi preparavano il micidiale intingolo di talee di tasso durante l’eclissi di luna, altro non facevano che rinnovare ad libitum l’antico rito romano del Calderone di Ecate, dea degli inferi, che gli antichi placavano con un complicato rituale di sacrificio, che prevedeva si immolassero due tori neri vistosamente agghindati con rami di tasso intrecciati, posti appunto sui due animali per attrarre spiriti infernali assetati del loro sangue. Albero della Morte, dunque, ma non solo.
MILLENNI DI STORIA IN UN TRONCO: L’ALBERO DELL’ETERNITA’ DELLA VITA.
Quello che forse attrae maggiormente di questa pianta, infatti, sembra appunto la duplice natura della propria fama nel tempo che, se da una parte la vuole legno per armi, veleno e micidiale compagna d’Ecate, dall’altra l’eleva ad esatto contraltare, mite e silenziosa guardiana del cimitero celtico, simbolo d’eternità per l’incredibile longevità di cui va fiera. Il nostro Taxus Baccata, che conta esemplari di quasi due millenni di vita, conquista, così, due opposte mitologie intimamente legate tra loro: è albero della Morte, ma, al tempo stesso, è custode del tempo senza inizio e, dunque, dell’immortalità.
IL DEDALO DELLA RINASCITA: TAXUS BACCATA, ALBERO DEL TEMPO SOSPESO E DELLA SALVEZZA.
Oscurità e luce, morte e rinascita: continuità di vita e morte in un solo albero altamente simbolico. Perdersi nell’ombra per ritrovarsi, poi, nella luce: questa duplice lettura millenaria dell’albero del Tasso ha convinto Adrian Fisher, il più famoso architetto di labirinti al mondo, a realizzare il monumentale dedalo del Parco Sigurtà, a Valeggio, utilizzando come muri divisori solo piante di Taxus Baccata.
Il labirinto del Parco, vera attrazione dell’area verde, aperto al pubblico nel 2011, dopo ben 6 anni di lavori, si riappropria, in toto, del significato primo del dedalo e dell’annosa ricerca della via d’uscita come di un viaggio dell’anima dalla morte alla rinascita. La scelta – assolutamente voluta – come afferma il proprietario del Parco, di includere 1500 piante di solo Tasso nel labirinto, risponde esattamente alla filosofia del labirinto che, per dipanarsi, sceglie come compagno di viaggio un albero che sospende il tempo e conduce alla salvezza, simbolicamente rappresentata, al centro del dedalo, dalla torretta che ci porta, salendo, sopra il labirinto stesso, liberandoci dal giogo della trappola della vita e della materia.
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Se la vita di un uomo non può arrivare ad abbracciare un tempo più lungo di un secolo, la sua terra, al contrario, conosce creature in grado di raccogliere secoli di memoria in una sola esistenza, divenendo custodi di un sapere antico.
È questo che accade quando siamo in luoghi incantati come la foresta di Val Cervara, nel Comune di Villavallelonga, nel territorio del parco nazionale d’Abruzzo, Lazio, Molise, dove sopravvive al tempo la più antica faggeta d’Europa.
Questa palma d’eccellenza fu riconosciuta al bosco di Val Cervara dall’università della Tuscia agli inizi del nostro secolo, quando un team di studiosi è riuscito a provare l’esistenza di faggi pluricentenari, con un nutrito numero di esemplari che supera addirittura i 480 anni d’età.
L’equipe di esperti, guidata dai professori Schirone e Piovesan, grazie all’analisi dendrocronologica, ha potuto ricostruire una serie cronologica che, quindi, si estenderebbe dal 1523 ad oggi. Il più antico conta ben 503 anelli chiaramente rilevabili da questo tipo di analisi, ma potrebbe essere persino più antico, se si considerano i molti altri incompleti.
Mezzo millennio di vita e di memoria.
Mentre Magellano partiva con tre velieri per raggiungere l’Oceano indiano, Carlo V veniva incoronato Re dei Romani ad Aquisgrana ed Enrico VIII fondava la chiesa anglicana, questi giovani faggi, oggi ultimi della loro generazione in Europa e candidati a divenire patrimonio dell’UNESCO per questa ragione, vedevano già la luce e segnavano la storia.




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Il sorbus aucuparia, piccolo arbusto montano con bacche di color rosso vivace, deve il nome latino alla propria capacità di attrarre gli uccelli in autunno. I cacciatori, infatti, ne utilizzavano i frutti per la caccia con le reti ai piccoli volatili, per questo se ne ricorda anche il nome di SORBO DEGLI UCCELLATORI.
MITI E LEGGENDE:
i popoli del Nord Europa conoscevano bene le capacità di quest’alberello ed erano soliti utilizzare il suo legno giallo-grigio per tenere lontane streghe ed entità maligne in genere. Portare con sé un rametto di Sorbo aiutava la rapidità di pensiero e impediva alla paura di avere il sopravvento. 
Nella tradizione scandinava e nordica in genere era intimamente legato alla divinazione runica e spesso le “scritture magiche” venivano, per questo, incise su legno di Sorbo, il cui stesso nome, nelle lingue antiche di queste regioni, richiamava direttamente il termine “runa”.
La fama di questa pianta arrivava anche più a sud, dove si era soliti piantarla davanti alle case e alle chiese per proteggersi dal maligno.
Talora gli si riconobbero anche poteri connessi al mondo dei morti, come in Scozia, dove si bruciava legno di Sorbo durante le cerimonie funebri per assicurare ai morti il ritorno alla luce dal mondo delle tenebre.
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ACERO DI MONTE (Acer Pseudoplatanus):
pianta decidua d’alto fusto è il più grande esemplare di acero europeo e cresce nei boschi di latifoglie insieme al faggio. L’ampia foglia a 5 lobi fa pensare a quella del platano, come pure la caratteristica corteccia che tende a staccarsi in placche, da qui il nome di pseudoplatanus. Può vivere fino a 200 anni, ma nell’appennino bolognese, presso il Santuario della Madonna dell’Acero, vive da ben 500 anni l’esemplare più longevo.
MITI E LEGGENDE: Tradizionalmente veniva considerato l’albero sacro a Phobos, dio della Paura, perché le sue foglie, in autunno, si tingevano di un acceso colore rosso che ricordava le grandi quantità di sangue sparso in battaglia. Phobos, infatti, venerato a Sparta, era invocato dagli spartani per esorcizzare il proprio influsso prima di scendere nella mischia, dove il dio, col fratello Deimos, divinizzazione del terrore, e la dea Enio, divinizzazione dell’urlo furioso in battaglia, accompagnavano e seguivano il padre Ares in guerra.

USI E PROPRIETÀ: Il legno di color bianco-crema è considerato di gran pregio e per le sue belle venature è da sempre impiegato nell’artigianato del mobile, anche se l’uso più frequente va registrato in liuteria. In antichità la linfa della corteccia intagliata era rimedio contro lo scorbuto.
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